Una riflessione sull'attuale crisi del rapporto capitale-lavoro in margine ad un intervento di Landini (FIOM) ad una trasmissione di Lucia Annunziata su RAITRE dedicata alla vertenza Fiat di Pomigliano d'Arco
Fiat di Pomigliano d'Arco: un'interpretazione intorno al pensiero di Pier Luigi Zampetti
di Pier Luigi Tossani, lunedì 21 giugno 2010
Pier Luigi Tossani prende le mosse dalla vertenza di Pomigliano d’Arco per "prospettare nuovamente la possibile soluzione del 'conflitto sociale' secondo le linee di sviluppo della 'Società Partecipativa' di Pier Luigi Zampetti e secondo i più ortodossi princìpi della dottrina sociale della Chiesa cattolica". Attualità della democrazia partecipativa
Firenze, 21.6.’10
La trasmissione “In mezz’ora” di Lucia Annunziata, RAI3, domenica 20 giugno 2010, era dedicata alla questione dei possibili importanti investimenti FIAT a Pomigliano d’Arco. Investimenti che l’azienda condiziona a termini contrattuali severi e vincolanti per i lavoratori. Restrittivi al punto di configurarsi come ricattatori e violare i diritti costituzionali dei lavoratori, ha affermato convintamente in trasmissione il segretario della FIOM Maurizio Landini. La FIOM è l’unica sigla sindacale che si è rifiutata di firmare l’accordo “prendere o lasciare” con la FIAT. Nel corso dell’acceso dibattito, dall’altra parte del tavolo il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha invece affermato che i 700 mln di euro di investimenti nei quali si impegnerebbe l’azienda di Corso Marconi rappresentano una preziosa occasione di lavoro per tanti, che sarebbe irresponsabile perdere. Specie in questi tempi di vacche magre.
Ora, non è mia intenzione entrare nel merito specifico della vicenda. Quanto piuttosto osservare come in essa stia venendo a galla ancora una volta, in modo eclatante, la storica questione filosofico-antropologica del conflitto tra capitale e lavoro, che va a incrociarsi anche con la questione istituzionale, nonché Costituzionale. Landini si è infatti costantemente richiamato, per denunciare l’accordo, al tradimento – a suo dire - della Costituzione della Repubblica per quanto attiene ai diritti dei lavoratori.
E però dunque, se è vero che modernamente possiamo far risalire il tema del conflitto tra capitale e lavoro ai tempi della rivoluzione industriale, è anche vero che oggi – trovandoci nella fase crescente di una crisi non solo economica ma direi meglio globale, quindi anche democratica e istituzionale, non contingente ma strutturale – i tempi potrebbero essere finalmente maturi per lo scioglimento di quel conflitto.
Desidero quindi cogliere l’occasione di Pomigliano d’Arco, che è di stringente attualità, per prospettare nuovamente la possibile e auspicabile soluzione del “conflitto sociale” prendendo conoscenza delle linee di sviluppo della “Società Partecipativa” come furono elaborate dal grande intellettuale Pier Luigi Zampetti secondo i più ortodossi princìpi della dottrina sociale della Chiesa cattolica, e poi portandole all’attuazione.
Per i contenuti dettagliati della proposta partecipativa rimando al Quaderno del Covile n. 8, pubblicato sull’omonimo sito web nell’ottobre 2008 sotto il titolo “La società partecipativa secondo Pier Luigi Zampetti” ed anche al successivo Quaderno n. 11, uscito ancora sul medesimo sito nel marzo 2010, con il titolo “Giorgio La Pira: una riflessione critica”.
A mio giudizio è assai pertinente dal punto di vista socio-economico la riflessione sull’esperienza lapiriana, poiché essa rappresenta in certo modo un paradigma di quelle politiche keynesiane che hanno ispirato il New Deal rooseveltiano e che poi hanno in rappresentato in sostanza l’azione politica prevalente in Occidente, e non solo, da quasi cento anni a questa parte. I pericolosi risvolti di quelle politiche sono ancora pressoché ignoti al grande pubblico, ed è quindi necessario, a mio giudizio, riproporli insistentemente.
In questa occasione vorrei proporre ai lettori alcuni contributi zampettiani aggiuntivi rispetto a quelli già pubblicati. Dedicati specificamente al tema del lavoro e del nuovo rapporto possibile tra capitale e lavoro. Li vado a trarre dall’opera di Zampetti L’uomo e il lavoro nella nuova società (Rusconi, 1997). Si tratta di un’operazione a carattere informale, non strutturato, nell’intento di offrire ai lettori una sia pur sintetica panoramica sul concetto di “capitale umano” e sul superamento della “società di classi” con la “società dei ruoli e delle funzioni” elaborata appunto dallo studioso lombardo.
Per fare un “cerchio di gesso” sul tema del lavoro e non allargare troppo la riflessione al tema istituzionale-Costituzionale, cosa che richiederebbe una trattazione separata, limitiamoci intanto ad accennare che se il segretario della FIOM ha giudicato incostituzionale la prospettiva di accordo con la FIAT, nulla però egli ha detto circa l’ormai storico svuotamento dei contenuti complessivi della nostra Carta Costituzionale, già da lunghissima pezza silentemente, subdolamente e sistematicamente attuato dal sistema economico-politico nell’indifferenza generale. Di questo, della “Costituzione Parallela” realmente vigente in termini antitetici a quelli proclamati nella relativa lettera, parlava Zampetti nel suo volume La Società Partecipativa (Dino Editore,1981).
Diciamo però che una riflessione seria sul tema del lavoro e del rapporto tra capitale e lavoro non può prescindere da una visione previa sulla persona e sulla democrazia. E dunque:
“…La sovranità e il potere non appartengono forse al popolo? Ed il popolo, inteso come insieme degli individui, non è forse superiore alla società e allo Stato? Bisogna che su questo punto ci chiariamo le idee. Con quale strumento l’uomo dovrebbe prevalere sulla società e sullo Stato? Attraverso la concezione democratica e, cioè, attraverso il suffragio elettorale. Ma c’è tipo e tipo di democrazia. La democrazia varia a seconda del modo di intendere il soggetto della vita democratica: l’uomo. E’ inteso come individuo o come persona? La democrazia nell’Occidente è stata concepita e sviluppata come democrazia rappresentativa. E la democrazia rappresentativa è pregna di individualismo. Dirò di più: si identifica con l’individualismo stesso. Di qui la domanda: la democrazia individualistica è una vera democrazia?
(…)
La democrazia significa decidere, concorrere a decidere o, comunque, sul piano generale, scegliere. Delegare ad altri l’esercizio del potere, come avviene nei sistemi di democrazia rappresentativa, significa rinunciare a scegliere.
(…)
Sul piano allora delle scelte dei contenuti, democrazia e rappresentanza non sono compossibili. E non sono compossibili perché la rappresentanza, fondata sulla delega, è legata all’individualismo. La vera democrazia non può che essere una democrazia delle persone. Soltanto questa democrazia può impedire la superiorità della società sull’uomo. Ed infatti l’uomo è persona, come sappiamo, in quanto è unità ontica di spirito e di materia. E il momento spirituale si estrinseca nella vita democratica soltanto se l’uomo è messo in condizione di scegliere, di concorrere alla formazione delle decisioni. Ecco perché la vera democrazia è una democrazia partecipativa e non già rappresentativa. Queste due concezioni della democrazia si riferiscono, sono sottese da due diverse immagini dell’uomo” .
(L’uomo e il lavoro nella nuova società, estratti da pag. 36 a pag.38)
Quali dunque le conseguenze concrete di questa teoria sul conflitto sociale, così ben esemplificato dall’acceso dialogo tra il Segretario della FIOM e il Ministro del Lavoro, al quale abbiamo assistito su RAI3? Riprendiamo il medesimo testo, pagine 152-153:
“…Sono ora in grado di cogliere in tutto il suo profondo significato il principio ispiratore della nuova società, che è esattamente l’opposto del principio ispiratore della società capitalistica secondo l’enunciazione di Marx. E’ la coscienza dell’uomo persona che crea l’essere economico e sociale, e non viceversa. Le strutture della società capitalistica avevano impedito la realizzazione di questo principio. E l’avevano impedita perché l’uomo era oggetto e non soggetto del mondo della produzione. Era preso nell’ingranaggio della sua macchina. Non poteva, non sarebbe mai potuto divenire persona. Il capitalismo era sempre legato ad una concezione materialistica, sia all’Est che all’Ovest. E’ l’essere sociale (capitalismo collettivistico o capitalismo di Stato) o l’essere economico (capitalismo individualistico) che creano la coscienza degli uomini”.
Bisogna essere molto chiari. Zampetti sosteneva che il social-comunismo era la soluzione politica peggiore, in quanto esprimeva il massimo dello statalismo, fino al totalitarismo assoluto. Ma lo studioso faceva anche una critica spietata al liberalcapitalismo, in quanto esso stabiliva – contro natura - il primato del capitale finanziario sulla persona. Le drammatiche conseguenze politiche e sociali anche di questa seconda visione sono riassunte in dettaglio nei “Quaderni del Covile” che ho già citato.
Sappiamo tutti come la soggezione dei lavoratori al capitale sia un fatto storico. Quando il rappresentante della FIOM l’ha sollevata ha dunque toccato un problema reale. Il problema è che per affrontarlo in modo adeguato è necessaria la consapevolezza della questione filosofica che è sottesa alla vicenda. Questo per evitare le soluzioni di stampo assistenzial-social-populiste che storicamente hanno già fallito, e che sono lontane anni-luce da quella giusta. Poiché è solo con l’economia partecipativa e la democrazia partecipativa che potremo risolvere la questione sociale. Ancora Zampetti ci spiega chi saranno i protagonisti, i promotori della nuova società (op. cit., pag. 153):
“…E’ la coscienza spiritualistica che modifica la concezione del capitale e quindi gli stessi ritmi del processo produttivo. E con i ritmi o modo d’essere della produzione, gli stessi rapporti di produzione. I ruoli emergenti costituiti oggi dai quadri, ma in grado rapidamente di dilatarsi man mano che si dilata l’era del computer (in Europa sono già molti milioni) rappresentano questa realtà nuova in grado veramente di trasformare la società”.
C’è però una condizione essenziale (op.cit, ancora pag. 153):
“…Ma bisogna che i quadri abbiano consapevolezza di essere i primi trasformatori della società e portatori di una cultura economica e sociale non più materialistica ma spiritualistica. E con la nuova cultura spiritualistica contribuiranno a determinare il superamento della crisi energetica dello spirito, crisi che si manifesta nella mancata accumulazione delle conoscenze (si pensi al degrado degli studi di istruzione e formazione) e nel limitato uso delle medesime nell’ambito dell’impresa. Come poter parlare in una società dei consumi di riciclaggio della istruzione, di corsi sistematici di aggiornamento, quando i livellamenti retributivi e la stessa retribuzione finalizzata al consumo comprimono o addirittura spengono ogni incentivazione culturale?”
Ultimo dettaglio, non secondario (op.cit., pag. 156-157):
“E’ appena il caso di accennare che lo sciopero non ha più ragion d’essere in questa nuova società. Per due ordini di ragioni. Per il primo, perché non esiste più la classe in cui si situa la categoria scioperante, che si contrappone alla controparte appartenente a una classe diversa. Per il secondo, perché la indennità di funzione dimostra come i nuovi soggetti sono entrati nell’area del capitale che si fonde con l’area del lavoro. Ne segue la fine delle tensioni sociali, l’aumento della produttività del lavoro e, simultaneamente, dell’entità e della redditività del capitale.
Resta il problema degli scioperi per la fascia dei lavoratori manuali specializzati, cioè di coloro che non usufruiscono della indennità di funzione. Le loro rivendicazioni sono limitate all’attività prestata. Ma anche per tali categorie le rivendicazioni concernono, pur sempre, per gran parte, il riconoscimento della loro professionalità e quindi di un ruolo specifico, cui non corrisponde ancora in questa società di transizione una indennità di funzione. Ma le possibilità di tali rivendicazioni differenziate sono legate all’aumento della produttività del lavoro e della redditività del capitale operato dal nuovo tipo di società emergente. Il riconoscimento dei quadri non può che rimbalzare positivamente sull’ultima fascia dei lavoratori e sulla loro retribuzione.
In una certa misura e in tempi non lunghi, tutti i lavoratori destinati a divenire prevalentemente lavoratori intellettuali, sono altresì destinati a divenire capitalisti, sia per il loro grado di professionalità, sia per la partecipazione alla formazione del capitale d’impresa cui sono chiamati indistintamente tutti i lavoratori dell’impresa medesima. Così che da questo punto di vista i quadri costituiscono un punto di collegamento tra la fascia superiore dirigenziale e la terza fascia del lavoro esecutivo. Collegamento che è estremamente importante per istituire le nuove articolazioni tra le fasce dell’impresa che si tramutano poi nelle articolazioni delle fasce sociali imperniate sui ruoli e sulla loro interdipendenza. Chi più sa ha il dovere di farsi interprete delle nuove esigenze della società rispetto a chi si trova culturalmente e professionalmente in una fascia inferiore”.
La conclusione finale di questo percorso ribalta in modo assolutamente positivo la drammatica realtà attuale. Ancora l’opera citata, pagg. 158-159:
“La realtà è che tra imprese e società si instaura un rapporto del tutto diverso da quello che è avvenuto in quest’ultima fase del capitalismo consumistico. Qui la società è stata subordinata alle esigenze di una produzione crescente che cercava sempre nuovi sbocchi per l’assorbimento dei prodotti. La società diveniva società dei consumi.
Ora si inverte completamente la prospettiva. Il consumo è solo un momento della società. Ma non si identifica con la medesima. La società è fondata, come abbiamo visto, sul momento spiritualistico; quello materiale (e non dirò materialistico) è subordinato al primo. I nuovi soggetti operanti nella società non sono consumatori passivi. Sono soggetti intelligenti che trasmettono le loro finalità alla società intera. Sostenere che il capitale prima di essere materiale è spirituale, significa incentrare la società sui problemi dello spirito. Il piano aziendale che deve determinare che cosa produrre, quanto produrre, sarà commisurato alla produzione di beni che soddisfino le esigenze non solo materiali, ma altresì e soprattutto spirituali dell’uomo. Le scelte dei beni da produrre sono anteriori e non già posteriori alle scelte che riguardano il consumo, scelte che nella società consumistica precedevano il momento produttivo.
La coscienza del ruolo, costituito dalle conoscenze, significa, come abbiamo visto, conoscenza delle conoscenze e cioè autocoscienza. Se l’autocoscienza è il nucleo del momento produttivo, lo sarà anche del momento consumistico. Ciò significa la fine della manipolazione pubblicitaria che fa leva sulla mancata consapevolezza del valore e utilità dei beni prodotti da parte dei lavoratori-consumatori e, più in generale, consumatori-occupati.
Caduta la nozione di occupato di fronte al nuovo concetto di lavoratore produttivo identificato nel ruolo, viene altresì meno la figura del consumatore passivo. E nasce una società completamente diversa. Nella quale cioè le istituzioni cessano di essere strumentalizzate dal modo impersonale di produrre.
Introdurre il concetto di persona nel modo di produzione significa introdurlo nella società intera. Modo di produzione e società sono strettamente collegati. E’ un punto fondamentale che dobbiamo tenere nella massima considerazione. Negata la persona nel modo di produrre è altresì negata in tutta la società, come abbiamo avuto modo di ampiamente constatare. E con il cambiamento del modo di produrre cambiano altresì i rapporti di produzione e cioè la titolarità del capitale, il quale, come abbiamo visto, non è più materialistico ma spiritualistico”.
Chiudo dunque questo “speciale economia” su questa prospettiva positiva, con l’intenzione di dare una nota di motivata speranza a chi ci legge. Specie in vista del fatto che, in base agli argomenti che ho prodotto, è da presumere che il peggio della crisi debba ancora venire. Mi auguro possa aprirsi un fecondo dibattito su quanto ho espresso, poiché, come diceva Zampetti, l’attuarsi della visione politica partecipativa è, in prima istanza, questione di coscienza e di autocoscienza. Mi auguro anche che possano essere suscitate azioni culturali e politiche atte a far sì che la transizione verso il modello concreto di società che Zampetti ci ha lasciato in eredità avvenga con sollecitudine e in modo meno traumatico possibile.
Pier Luigi Tossani
Via Gaspero Barbera 35
50134 Firenze