di Ombretta Fumagalli Carulli, Accademico Pontificio per le Scienze Sociali
Cristiano autentico e scienziato di grande valore, Pier Luigi Zampetti ha raggiunto il Padre Celeste improvvisamente il giorno dei Santi dell'anno 2003.
Una prestigiosa, e talvolta ingiustamente sofferta, carriera accademica lo aveva visto professore ordinario di Dottrina dello Stato in varie sedi italiane: all’Università Statale di Milano negli anni della contestazione studentesca, particolarmente difficili per un cattolico militante dichiaratamente antimarxista, poi a Trieste dove fondò la Facoltà di Scienze Politiche e ne divenne Preside, infine a Genova, dove rimase sino alla fine della sua vita terrena. Molti docenti delle nostre Università gli sono debitori di consigli scientifici ed efficaci sostegni concorsuali.
Avevamo in comune la provenienza universitaria, entrambi laureati nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Comune era pertanto l'orientamento culturale. Anche a causa della differenza di età, non avevamo tuttavia avuto modo di frequentarci prima di un anno per entrambi significativo: il 1981, quando la Democrazia Cristiana ci chiese la disponibilità di proporre i nostri nomi per l'elezione da parte del Parlamento dei componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Entrambi risultati eletti, lasciammo temporaneamente la vita universitaria per dedicarci all’istituzione dello Stato Italiano che presiede al governo autonomo della Magistratura. Entrati al CSM (presieduto da Sandro Pertini e negli ultimi mesi della nostra permanenza da Francesco Cossiga) condividemmo le fatiche e le soddisfazioni, gli oneri e gli onori della appartenenza ad un organismo istituzionale tanto significativo quanto spesso nell'occhio del ciclone, come del resto l'intera Magistratura italiana.
Zampetti divenne Presidente della Commissione speciale per la Riforma giudiziaria e l'Amministrazione della giustizia, particolarmente adatta per la sua preparazione scientifica ed attitudine culturale ed io Presidente della Commissione per gli Incarichi Direttivi. Ci ritrovavamo seduti a fianco durante le sedute del plenum intorno al tavolo circolare dell'Aula dedicata a Vittorio Bachelet ed in quelle lunghissime ore, protratte per l'intera giornata e talvolta anche durante la notte, pur con la doverosa attenzione alle pratiche da trattare, spesso oggetto di contrapposizioni polemiche, scambiare qualche parola con chi condividesse gli stessi valori umani e spirituali era per entrambi un sollievo. Una consuetudine durata quattro anni e mezzo ci consentì pertanto di conoscerci meglio.
Ricordo ancora oggi con quale scrupolo egli cercasse soluzioni eque per le molte questioni che ci venivano sottoposte e con quale rispetto trattasse l'ordine giudiziario, per la terzietà che esso doveva rappresentare a garanzia dell’eguaglianza dei cittadini. Ma ricordo anche con quale senso delle "cose ultime" egli ogni giorno intorno alle ore 18 comunicasse a me (capogruppo del gruppo DC) che si sarebbe allontanato per partecipare alla Messa in una Chiesa vicina a Palazzo dei Marescialli. Confesso che talvolta, nel bel mezzo di qualche accesa discussione e con il timore che si giungesse ad una spaccatura in sede di votazione con la sconfitta del nostro fronte, la sua mi pareva una pietas eccessiva, anche perché mi costringeva ad interventi defatiganti l'uditorio e strumentali a prendere tempo, finché egli arrivasse. Egli invece era tranquillo, sicuro che la Provvidenza ci avrebbe dato una mano. E così in effetti avveniva.
Un momento per lui durissimo fu nel 1985 la morte della sua amatissima genitrice. Egli diceva di dovere a lei un'educazione cristiana non solo spiritualmente attenta, ma anche intelligente nell'indicargli settori di ricerca da esplorare: ad esempio l'influenza dell'economia nella vita politica e sociale. Non aver più al proprio fianco la mamma nella vita terrena era per lui una grande tristezza, soltanto mitigata dalla certezza che ella fosse ormai tra i Santi del cielo. Una Santa che egli avrebbe voluto fosse proclamata dalla Chiesa tale anche sulla terra: come esempio di madre cristiana, secondo quel principio della chiamata universale alla santità proprio della Chiesa post-conciliare. In tal senso già allora ed ancora negli ultimi giorni della sua vita terrena si adoperò per raccogliere testimonianze preziose per poter introdurre la causa di beatificazione, come ad esempio quella autorevolissima del suo antico confessore ed educatore, Mons. Villa, che lo aveva conosciuto bambino e che della mamma serba tuttora memoria come di un’anima bella.
Con la profonda emozione, provocata dalla morte di una persona così cara, nei ritagli di tempo del lavoro istituzionale al CSM, Zampetti scrisse un libro assai toccante, che, mi confidò, gli sembrava di scrivere con prodigiosa celerità sotto dettatura della mamma. Il Vangelo di mia mamma (1985), subito premiato con la selezione Bancarella, è giunto ormai alla ottava edizione. La larghissima diffusione e la traduzione in più lingue a lui parevano segni della santità della compianta genitrice. Autore di numerosi volumi, dopo una fase di ricerca scientifica dedicata alla filosofia del diritto (con le opere: Il problema della conoscenza giuridica del 1953, Metafisica e scienza del diritto nel Kelsen del 1956; Il problema della giustizia nel protestantesimo tedesco contemporaneo del 1962; Il finalismo nel diritto. Verso una concezione personalistica dell'ordinamento giuridico del 1967), aveva elaborato e propugnato una teoria alternativa al capitalismo e al socialismo, la teoria della partecipazione, della quale era fiero, pur con quella umiltà che rappresentava un aspetto peculiare del suo carattere o, forse, della sua educazione.
Sin dal 1967, in una relazione "Democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa" ad un Convegno di Dottrina dello Stato tenutosi a Perugia, aveva lanciato il concetto di democrazia partecipativa e, successivamente, di "partito di elettori'' e di "capitalismo popolare", come concetti integrantesi vicendevolmente e, se attuati, destinati a cambiare l'assetto della società e dello Stato. Alla teoria della partecipazione si sarebbe poi ininterrottamente dedicato, come ad una missione scientifica non meno rilevante di una vera e propria missione spirituale, in quanto fondata su quella dottrina sociale della Chiesa, che egli riteneva unica via per la trasformazione della società su basi eque e solidali. In quest’ottica inquadrava anche una serrata critica alla società consumistica, come frutto diretto della società secolarizzata, cioè senza valori, e dell'economicismo, come visione solo unilaterale dell'uomo.
Si segnalano in proposito diversi saggi, tradotti anche all'estero, nell'arco di quasi quarant’anni di ricerca. Essi già nel titolo rivelano un percorso teoretico di grande interesse: Dallo Stato liberale allo Stato dei partiti. La rappresentanza politica (1965); Democrazia e potere dei partiti (1969); La partecipazione popolare al potere. Una nuova alternativa al capitalismo e al socialismo (1976); La società partecipativa (1981 e poi più volte ristampata, l'ultima nel 2003); L'uomo e il lavoro nella nuova società (1983); Partecipazione e democrazia completa. La nuova via (2002); e, ultimo ed agile volumetto destinato ad una ampia diffusione poco prima che morisse. La dottrina sociale della Chiesa: per la salvezza dell'uomo e del pianeta (2003).
La sua analisi scientifica è rigorosa nel metodo e spesso profetica nelle osservazioni, oggi di speciale attualità. Ad essa si applica quel "non omnis moriar" (non del tutto morrò), con il quale gli antichi indicavano la perennità dell'opera dei grandi pensatori.
Soprattutto in La sfida del Duemila (del 1988) scienza e profezia si intersecano, nel riprendere e perfezionare tesi già svolte o abbozzate in precedenti saggi. Ricordiamone insieme i contenuti. L'uomo occidentale - dice l'Autore - devasta la natura. Ma devasta anche se stesso. Il degrado ambientale deve preoccupare: dagli strappi nel manto di ozono, all'aumento della temperatura terrestre, al mare infetto, all’avanzata dei deserti, alla scomparsa di migliaia di specie viventi. Ma, ancor più grave dell'inquinamento, è la desertificazione dello spirito. La sua origine sta in quel "materialismo edonistico", che strumentalizza ogni valore e riduce il progresso a una pura proliferazione dei beni di consumo.
Con quella attenzione ai problemi dell'economia che spesso i giuristi, sbagliando, disdegnano, egli sostiene che oggi non sono più i filosofi ad elaborare il pensiero, ma la massa indistinta degli operatori economici. Ad evitare che le energie spirituali si sviliscano nelle leggi degli scambi commerciali, sotterrando o inutilizzando le migliori qualità dell'uomo, egli formula una suggestiva soluzione: la nascita di una coscienza che si opponga alla logica del consumismo permissivo e si impegni nella creazione di concetti sociali ed etici traducibili in azione diretta. I riferimenti possibili di questa soluzione sono: la priorità del lavoro sul capitale, il senso del risparmio, la rinuncia ai beni inutili e immaginari, la partecipazione popolare agli investimenti produttivi, il potenziamento dei beni immateriali rappresentati dal mondo dell'informazione.
In antitesi ad ogni forma di materialismo, Zampetti auspica dunque l'alba di uno "spiritualismo storico", fondato sulla democrazia partecipativa, vale a dire l'effettivo concorso di tutti i cittadini all'esercizio del potere. Lo spirito, conclude, con questa nuova filosofia deve di nuovo calarsi nella realtà storica e plasmarla dall'interno, così da consentire all'uomo di vincere la sfida del futuro e salvare il mondo dalla catastrofe.
I materiali per una costruzione salvifica della società sono forniti dalla dottrina sociale della Chiesa, applicabile a tutti i Paesi del mondo e a tutti i popoli, anche non cristiani, e destinata a far emergere, se correttamente applicata, un nuovo modello di società e di Stato nel mondo intero. Essi sono: la persona umana, la soggettività della famiglia e della società, il principio di sussidiarietà, il bene comune universale. Grazie ad essi è possibile superare l'insufficienza della democrazia rappresentativa, integrandola appunto con la democrazia partecipativa: la vera "democrazia della società", mossa dalla sussidiarietà.
La sua originale teoria della partecipazione ha significativi riconoscimenti di Università straniere. Proprio l'applicazione di essa alla realtà politica di alcuni Paesi latino-americani lo fa considerare per questi stessi Paesi un "padre della Patria", come ha giustamente ricordato, il giorno delle esequie, il console generale della Bolivia in Italia, Alvaro Del Portillo.
Di qui la nomina a membro dell'Accademia nazionale di Diritto e Scienze sociali di Cordoba (Argentina); di qui varie lauree honoris causa in Università latino-americane.
Sempre partendo dall'analisi della situazione socio-economica e dello Stato capitalistico attuali, nell'anno internazionale della famiglia (1994) indica un modello di sviluppo, che permetta l'eliminazione dello Stato assistenziale e la creazione di un vero Stato sociale imperniato sulla famiglia comproprietaria dei mezzi di produzione, e perciò in grado di far risplendere nella società i valori ibernati dal consumismo. La proposta è che famiglia e società assumano un ruolo determinante e decisivo nell'ambito della nuova concezione dello "Stato delle autonomie", grazie alla democrazia partecipativa, che istituzionalizza la solidarietà, nonché al ruolo della famiglia, che vivifica il concetto di popolo, dando volto concreto alla sovranità popolare come sovranità del popolo delle famiglie (La sovranità della famiglia e lo Stato delle autonomie: un nuovo modello di sviluppo del 1996).
II riferimento al magistero sociale della Chiesa è, in questo saggio, reso evidente dalla bella citazione di un famoso passo della "Lettera alle famiglie" di Giovanni Paolo II, posto a premessa dell'intera trattazione: "La famiglia è soggetto più di ogni altra istituzione sociale: lo è più della Nazione, dello Stato, più della società e delle Organizzazioni internazionali. Queste società, specialmente le Nazioni, intanto godono di soggettività propria in quanto la ricevono dalle persone e dalle loro famiglie".
La conoscenza ed insieme fedeltà al magistero della Chiesa e l'apprezzamento in particolare del pensiero di Giovanni Paolo II (che, nella dedica della prima edizione de La società partecipativa, è ricordato come l' "iniziatore con la `Redemptor hominis' di una nuova epoca nella storia") sono le caratteristiche che fanno di Zampetti un convinto e convincente "vir catholicus", di tale affidabilità da essere nominato, sin dalla sua costituzione nel 1994, Membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e unico italiano componente del Consiglio della medesima. In essa porta il contributo di una scienza al servizio della Chiesa, come si conviene in questo alto consesso, e porta altresì il contributo di una così convinta fedeltà al magistero petrino in nome della quale talvolta egli, pur mite, osava perfino esprimere una di quelle vibrate indignazioni che solo i giusti possono permettersi.
Nominata anch'io lo scorso anno su sua proposta Accademico Pontificio per le Scienze Sociali, ho potuto riprendere quella consuetudine di rapporti, anche famigliari, che avevamo ai tempi del CSM. Ma, con mio grande dolore, solo per pochi mesi.
Il Signore lo ha chiamato presso di Sé con uno di quei disegni misteriosi, che, benché divini, non riusciamo a comprendere e perciò ci rendono a tratti amara la vita quotidiana.
Credo di potere interpretare il pensiero di tanti suoi estimatori ed amici, se affermo che osiamo tutti sperare che ci protegga dal cielo. La sua devozione che lo aveva spinto a recarsi più volte in luoghi di apparizioni mariane e a dedicare al mistero di Fatima un interessante volume, La profezia di Fatima e il crollo del comunismo (1990), ci porta ad accantonare il nostro dolore umano causato dalla sua troppo improvvisa scomparsa per immaginare che in Cielo ad accoglierlo, insieme all’amatissima mamma, ci sia stata la Vergine Maria.
2004
Ombretta Fumagalli Carulli
Accademico Pontificio per le Scienze Sociali